Il Bring Your Own Device: vantaggi e sfide

Il fenomeno del Bring Your Own Device (BYOD) ha guadagnato sempre più popolarità nelle aziende di tutto il mondo. Con l’avvento di dispositivi mobili potenti e sempre più personalizzabili, i dipendenti sono sempre più inclini ad utilizzare i propri smartphone, tablet e computer portatili per svolgere attività lavorative.

Ma quali sono i vantaggi e le sfide del BYOD per ragazzi e ragazze che ancora devono affacciarsi al mondo del lavoro?

Per saperne di più sull’argomento, abbiamo intervistato Roberta Zantedeschi, che si occupa di Relazione Consapevole nelle organizzazioni, lavora su Comunicazione Interna, Employer Branding ed Employee Advocacy.

Quali sono le differenze tra la tecnologia che utilizziamo privatamente e quella che troviamo sul posto di lavoro?

Le differenze sono molte. In passato in azienda le persone trovavano una tecnologia che era superiore a quella a cui potevano accedere a casa propria. Quindi la tecnologia era sul posto di lavoro. In azienda avevi più possibilità, avevi i computer più performanti, mentre adesso è – spesso – esattamente l’opposto.

È abbastanza frequente che la tecnologia che noi utilizziamo a casa sia più evoluta di quella che troviamo in azienda, ma non solo da un punto di vista di device: ci sono – io credo – anche aziende che non hanno proprio una cultura tecnologica.

A cosa porta la mancanza di una cultura tecnologica?

Comporta che trovi sempre più spesso ragazzi super smanettoni (e con smanettoni intendo competenti), che entrano in aziende dove la tecnologia non è la loro (che sono i famosi nativi digitali), dove l’approccio non è il loro, per cui vivono un gap evidente tra quello che sono abituati a usare e quello che trovano in azienda.

Capita sempre più spesso che entrino in aziende dove devono fare dei passi indietro, sia da un punto di vista hardware che software. Col fatto che i giovani non hanno la più pallida idea di cosa ci sia in azienda, lo smacco potrebbe essere grosso, perché ci arrivano non preparati, cioè ci arrivano dando per scontato che la tecnologia è quella che usano loro, che l’approccio alla tecnologia è il loro.

C’è un bellissimo TEDx dell’attore Marco Paolini, che racconta cos’è naturale e cos’è artificiale e dice «Il distinguo per decidere cos’è naturale e cos’è artificiale è se c’era quando tu sei nato: se c’era già è naturale, se non c’era è artificiale», quindi davvero per i nostri figli, per i ragazzi molto giovani, è naturale un certo tipo di tecnologia, un certo tipo di accesso alla Rete, di utilizzo delle App.

Qual è la situazione, oggi, nelle aziende?

A volte lavoro con aziende in cui, ad esempio, non si può navigare su tutti i siti: vuoi andare su Linkedin? Non si può. Vuoi usare Zoom? Non si può, perché «Le policy dicono che qui si usa solo Teams». Non ho niente contro Teams, però questo significa che ci sono delle aziende che giustamente indicano in modo molto preciso gli strumenti, le tecnologie, le App che puoi o non puoi utilizzare nella tua vita in azienda.

È chiaro che questo comporta un riadattamento all’indietro per i ragazzi che si affacciano per la prima volta al mondo del lavoro che, spesso, sono più avanti. E con avanti non voglio dire che siano più bravi di noi, perché non è questione di bravura, è questione di dimestichezza, anche mentale, di mindset.

Arrivano con un livello alto di uso delle tecnologie e si ritrovano in aziende con computer obsoleti e tecnologie non più all’avanguardia, o comunque diverse da quelle a cui loro sono abituati a utilizzare.

Credo che le persone più giovani si scontreranno in molti casi con queste situazioni: loro si aspettano di usare ciò che conoscono, perché non hanno ancora esperienza di com’è lavorare in azienda, hanno solo l’esperienza di quello che hanno vissuto. Quello che hanno vissuto è Mac, è Apple, è velocità, è intuizione, è bellezza, è accessibilità.

Che opinione avere, quindi, sul BYOD?

Molti impiegati in Italia lavorano con i portatili, che spesso sono forniti dall’azienda, mentre io sono molto a favore del BYOD: se tu mi “sradichi” dal mio computer io perdo efficienza. Mi adatto a qualsiasi cosa, ma già metto in moto un qualcosa che mi fa dire «Questo non è il mio computer»: il mio computer è diventato, non voglio dire un’estensione di me, ma quasi.

Al giorno d’oggi abbiamo un certo rapporto con i device: va bene, accedo alle cartelle aziendali, accedo a tutto ciò che è condiviso, però è il mio computer, è il mio strumento, mi ci trovo bene e voglio continuare a usarlo.

Penso che si debbano incentivare questi protocolli, questi sistemi per cui ci viene consentito di usare i nostri strumenti, magari con una contribuzione da parte dell’azienda.

C’è sicuramente una complessità di gestione e di privacy dei file aziendali, però il fatto di poter avere tutto su un computer e non doverne avere due, un po’ di cose a una parte e un po’ di cose dall’altra, è impagabile. Trovo poi che sia anche poco sostenibile da un punto di vista ecologico ed economico avere più computer. Penso che tutto questo risponda anche a un’esigenza di ibridazione, è un modo di lavoro dove c’è sì la separazione, ma dentro lo stesso strumento.

Quindi trovo che il BYOD sia un sistema ibrido, dove utilizzare i miei strumenti anche per il lavoro e gli stessi strumenti con i quali l’azienda mi consente di lavorare garantendosi tutta la sicurezza del caso.

Sono più elementi che concorrono a creare una complessità che va dall’aspetto più emotivo e sentimentale (cioè cosa mi aspetto, cosa voglio, che relazione ho con il mio computer) e va fino ad aspetti di tipo legale, normativo, di sicurezza, che non sono sicuramente indifferenti.

Qual è il futuro del BYOD in Italia?

Inizieranno le aziende tech un po’ più sveglie e piano piano le altre verranno contaminate. È la vita che ci porta di fronte alle cose: noi possiamo opporci quanto vogliamo, ma se c’è il modo perché una certa cosa possa essere fatta, inizieranno anche in pochi, ma poi diventerà quasi una moda e si accoderanno tutti gli altri.

Si tratta di un discorso generazionale?

I giovani danno per scontato che sono cresciuti con un certo tipo di tecnologia e che, secondo loro, al lavoro potrà migliorare. Qualcuno avrà brutte sorprese e questo potrà diventare un elemento di frizione, cioè uno di quegli elementi attraverso i quali i candidati valutano le aziende.

Alessandro Donadio nel libro HRevolution ne parla, dicendo che uno dei cambiamenti che stiamo affrontando è proprio questo: le persone si trovano in aziende dove il livello della tecnologia è più basso rispetto a quello a cui loro sono abituati. E l’ha scritto nel 2017.

La tecnologia è vissuta davvero in maniera molto differente, le aziende la considerano ancora un insieme di strumentini, invece i ragazzi ci vivono dentro. Noi diciamo «Lavoro con Internet», loro vivono in Internet.

I dipendenti sono sempre più selettivi nell’uso delle tecnologie. Per permettere loro di scegliere, e alle aziende di gestire efficacemente il proprio parco macchine, Apple ha ideato il programma Employee Choice. Con questo programma i dipendenti possono scegliere il dispositivo di loro preferenza e lavorare con le tecnologie a loro più affini, garantendo alte performance e motivazione.

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